Marquez - Cent'anni di solitudine





Marquez - Cent'anni di solitudine



Come si fa a sintetizzare un capolavoro in poche righe?
"Cent'anni di solitudine" è l'epopea della famiglia Buendìa, a partire da quando fondarono, con alcuni altri, la mitica città di Macondo e a concludersi con la fine della famiglia, e della città, che vengono travolte dal vento e scompaiono. E' la storia di José Arcadio Buendìa, il fondatore, di sua moglie Ursula e di tutti i figli, nipoti, bisnipoti, ognuno con la sua storia intrecciata a quella degli altri, quasi tutti morti di una morte violenta oppure di una longeva vecchiaia. Tutto inizia a causa di Ursula, giovane sposa, che non vuole concedere le proprie grazie al marito perchè suo cugino e teme che nasceranno figli con code di maiale, e questo porterà alle dicerie e alla morte di un uomo, il cui fantasma costringerà i due giovani sposi a spostarsi, assieme a famiglie di amici, e a fondare, infine, Macondo. E tutto termina con l'accoppiarsi inconsapevole di una zia ed un nipote, e con la nascita del bambino con la coda di maiale che Ursula tanto temeva. E nel mezzo, le vite di molti altri, segnate tutte dall'inesorabile impronta della solitudine. Da Josè Arcadio Buendìa, amico degli zingari e sperso in sempre nuove scoperte mirabili, al colonnello Aureliano Buendìa, che promosse 32 guerre civili e le perse tutte, ad Amaranta che, per testardaggine, visse vergine e portando rancore alla sorellastra Rebèca fino alla fine dei suoi giorni. O ai gemelli Aureliano Secondo e Josè Arcadio Secondo, che morirono nello stesso istante.

E' difficile spiegare meglio la trama. Sono davvero tante le trame che Marquez intreccia in questa storia. Credo che basti dire che nonostante la non-linearità, l'intreccio ripetuto di storie di uno o dell'altro, il ripetersi nelle generazioni di nomi simili che tendono a confonderti, la lettura è scorrevole e piacevolissimi, e non si tratta di certo di una classica saga famigliare. Ma bisogna leggerlo, per capirlo.

Devo però aggiungere che l'ultima parte non ha la presa, la profondità della prima. Gli ultimi Buendìa, forse, non valgono quanto i loro antenati.

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