Stephen King - On writing



Stephen King - On Writing. Autobiografia di un mestiere
Ovvero: un MUST per chi ama scrivere.


Di King avevo letto solo "Stagioni Diverse", perchè sono una terribile, inguaribile fifona (che da piccola aveva gli incubi avendo visto la pubblicità del film di It ^^;;;;). L'avevo trovato un libro bellissimo (anche se a tratti troppo truculento per i miei gusti ;D), opera sicuramente di un ottimo autore.
Poi mi hanno consigliato di leggere "On writing" e dopo le prime pagine mi sono subito detta che, miseria, è un vero peccato avere un subconscio fifone che fa fare incubi tremendi per il più innocente degli horror perchè in questo libro autobiografico King si rivela geniale, divertente, versatile, ironico, sincero... uno scrittore straordinario. La prima parte, bellissima, può essere letta da chiunque: narra della sua vita, dall'infanzia fino a quando è iniziata la sua carriera, e ti strappa più di una risata con aneddoti, battute, e uno stile straordinariamente autoironico, tra pulite di culo con piante urticanti e giornalini scolastici che fanno finire nei guai.
La seconda parte è una vera e propria "cassetta degli attrezzi", utile per chi vuole scrivere, ma anche scoprire COME scrive un grande autore come Stephen King. Lo stile ironico riesce a farti rimanere impressi la maggior parte dei suggerimenti (sfido chiunque a fine lettura a non ricordarsi di usare pochissimo gli avverbi!).
Naturalmente nessuno può uscire scrittore dalla lettura di queste pagine, ma se uno ama già scrivere, avrà delle indicazioni utilissime per la seconda bozza dei propri lavori. E, se è sperso, per sapere dove è meglio prendere le idee.
Infine, ci racconta in un lungo post scrittum del suo incidente in cui ha quasi rischiato la vita. Per farci capire come la scrittura può salvarti la vita, in alcuni casi. E aiutarti a tirare avanti.

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Neil Gaiman, Terry Pratchett - Buona Apocalisse a tutti!




- Gaiman e Pratchett - Buona Apocalisse a tutti

L'Anticristo è sulla terra, e a causa di questo si prevede a breve un simpatico Armageddon, Fine del Mondo e quant'altro. Peccato che con un Diavolo ed un Angelo che amano vivere sulla Terra e trovano noiosissima l'idea di un Paradiso o di un Inferno ovunque, i casini siano sempre dietro l'angolo e anche il più perfetto dei piani prevede qualche falla. Tipo suore sataniche casiniste.
Negli ultimi giorni del delirio prima della fine del mondo si intrecciano le avventure di molti personaggi caricaturali e divertenti, come i Quattro Cavalieri dell'Apocalisse che girano in moto, Cacciatori di Streghe che vivono in un tugurio e falsificano i conti per dimostrare che sono ancora un esercito quando sono ancora in due, una Discendente che vive seguendo passo passo le "Belle e Accurate Profezie di Agnes Nutter", libro di Profezie di una strega abilissima a vedere nel futuro, ma un po' a meno a spiegarsi.
Lettura scorrevole, piacevole e raramente scontata, perfetta per svagare la mente!

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Graham Greene - Treno d'Istanbul




Graham Greene, Treno d'Istanbul


Pubblicazione originale : 1932, Stamboul Train o Orient-Express
Prima pubblicazione italiana: 1961, Mondadori, Milano
Edizione letta: 1980, Oscar Mondadori, Milano

Il leggero e a tratti persino divertente romanzo di Greene è di natura corale e si svolge tutto o sull'Orient-Express o nei luoghi delle tappe del treno. Nella narrazione si alternano momenti di introspezione, momenti di dialoghi sciolti in cui le conversazioni si sovrappongono e scene in cui di volta in volta cambia il punto di vista a seconda dei personaggi coinvolti.
Ad alcune divertenti macchiette come il sacerdote anglicano che da la precedenza al cricket sulla religione o la coppia formata da marito lascivo che tocca le gambe delle giovani donne e moglie con problemi di stomaco, si alternano i personaggi principali, che delineano l'intricato intreccio del romanzo.
Ad Ostenda, sull'Orient-Express, salgono una giovane ballerina di nome Coral in viaggio verso Istanbul per un lavoro in un corpo di ballo, l'affarista ebreo Myatt che punta ad acquisire una ditta rivale e si perde spesso a pensare alle strategie di vendita, un uomo già di una certa età, sulle sue, che ad alcuni dice di essere insegnante, ad altri medico e che, a detta di più di un personaggio, ha uno strano accento per essere inglese. La prima notte, mentre conversa con il giovane ebreo, la ballerina, non bella ma piacente, ha un malore. Il medico accorre, le diagnostica un problema di cuore per cui avrebbe bisogno di completo riposo: ella però non ha neppure una cuccetta. Myatt allora, colto dal desiderio di dimostrarsi generoso non sa neppure bene lui perché, invita la donna a dormire al suo posto. Esausta, ella accetta, salvo poi cambiare idea alla mattina successiva, temendo di dover contraccambiare. Lui nega, e sarà questa sua gentilezza, questo suo essere diverso da tutti gli altri spasimanti ebrei, a spingere la ragazza a concederglisi con gioia, convinta già di amarlo.
A Colonia deve salire Janet, la giovane dama di compagnia, forse amante, della giornalista (alcolista) Mabel Warren. Mentre la più attempata donna cerca di prolungare il distacco, scorge una figura che le pare familiare: è il medico. Salta allora sul treno in corsa pur di avere la possibilità di scoprire se ha avuto la giusta intuizione. Mette l'uomo all'angolo ma inizialmente non ottiene nulla se non smentite: no, lui non è il famoso dottor Czinner, capo dei rivoltosi socialisti, riuscito a evaporare da un tribunale nonostante stessero aspettando di arrestarlo. Con un trucco la donna riesce a distrarlo e a frugare tra le sue cose: troverà una guida turistica e una piantina, scoprendo luoghi designati per degli attentati. Ma quando lo confronterà con queste nuove informazioni egli le mostrerà il giornale, svelandosi nel farlo: i suoi non l'hanno aspettato, hanno agito troppo presto e hanno fallito, non gli resta che tornare indietro. La donna non gli crede, gli promette che riuscirà a fare uno scoop a tutti i costi. È dopo che se n'è andata che l'uomo, riscoprendo l'ardore della fiamma che covava sotto la brace dell'esilio forzato, decide di non scendere dal treno, arrivare sino a Belgrado e sacrificarsi per poter lanciare un ultimo messaggio alle folle.
A Vienna, il ladro e scassinatore Josef deve fuggire perché ha appena ucciso il suo primo uomo. Ruba la borsa a Mabel mentre la donna detta articoli al telefono, e sale sul treno.
Il nuovo giorno sembra pieno di speranze: Josef è sfuggito alla polizia, Czinner sente di esser tornato a vivere, Myatt e Coral si risvegliano dalla loro notte assieme con l'intenzione di mantenere le promesse bisbigliate. La giovane donna è inebriata di gioia.
Il treno, però, si ferma a Subotica. Coral fa due passi assieme al dottore, l'uomo viene fermato da alcuni soldati e cerca di passarle una lettera, il suo testamento morale. Ma vengono visti, e anche la ragazza viene fermata e rinchiusa. Li raggiunge Josef, di cui hanno trovato l'arma pur non sapendo ancora chi sia. Prigionieri in un capanno in mezzo a gente che solo il dottore capisce, sono costretti a vedere il treno partire, sparire. Passano le ore. Myatt, risvegliatosi, capisce che Coral è sparita e, essendo il treno bloccato da un guasto, prende una macchina e torna indietro. Frattanto un illegale tribunale marziale di soli tre membri è stato istituito e Coral, Czinner e Josef sono condannati: la prima ad un giorno di detenzione e al rimpatrio, il secondo alla morte, il terzo alla prigione per un mese. Grazie all'abilità di scassinatore di Josef, tentano la fuga: vengono scoperti, ma Josef riesce a saltare sulla macchina in partenza di Myatt (che ha deciso di desistere, non avendo trovato notizie di Coral) mentre il dottore si accascia, colpito da una pallottola e istintivamente la giovane donna decide di rimanergli accanto e nasconderlo in un capanno, dietro sacchi di grano. L'agonia dell'uomo non dura che qualche ora. Distrutta, spaventata, sola e tanto disperata da decidere di consegnarsi, Coral riceve un aiuto inaspettato: poco dopo che l'hanno trovata i militari, appare Mabel che la soccorre e la porta in macchina, incurante delle proteste dei soldati.
Frattanto, arrivati ad Istanbul, Myatt scopre che Janet è per metà ebrea, nonché nipote del rivale in affari, e tra interesse e fascinazione, tra i due inizia qualcosa, entrambi dimentichi di Mabel e della povera Coral.

Salta subito agli occhi che il libro decisamente non avrebbe potuto essere pubblicato senza subire pesantissime censure. Intanto per le affatto velate allusioni sessuali, ma soprattutto omosessuali (e alcuni altri testi sembra siano stati fermati per accenni molto più velati), per la figura positiva del giovane affarista ebreo di certo, ma soprattutto per il personaggio, tra i più importanti, del dottore, dissidente socialista che, nella seconda parte del romanzo, esprime le proprie idee in modo chiarissimo in più occasioni e soprattutto muore seppure inutilmente, in modo eroico: viene catturato ad una fermata del treno perché invece di scendere a Vienna ha deciso di proseguire fino a Belgrado e subire la stessa sorte dei compagni che hanno cercato di rivoltarsi. È evidente che tacendo tutti questi dettagli il libro avrebbe avuto falle troppo grandi per una comprensione corretta della storia, che comunque in alcuni punti già di suo perde dei dettagli (come faceva la giornalista a sapere dove trovare Coral e il dottore, ad esempio? E come sapevano del ritorno di Czinner? Li ha avvisati Mabel forse?).

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Marco Lazzarotto - Le mie cose


Marco Lazzarotto - Le mie cose



In un futuro prossimo ma non troppo, il mondo è diventata una gigantesca pubblicità in movimento: i bambini leccano i cartelloni al sapore dei prodotti pubblicizzati, le piazze e le scuole si chiamano con nomi di cartoni animati, i parenti morti vengono caramellati, cromati, liofilizzati a seconda che ci si rivolga alla Fiat, alla Olivetti, alla Knorr o a Caro Estinto City. E' un mondo il cui massimo intrattenimento è guardare San Patrignano, un reality show in cui i vip e meno vip si disintossicano, e in cui i figli di genitori separati vivono nella Città dei Bambini, ed è l'ETCGFSG, l'Ente Territoriale di Controllo e Gestione dei Figli di Genitori Separati che gestisce il tempo in cui i genitori possono vederli e stare con loro nelle loro casette a forma di lego.

In questo spazio surreale ma non così tanto da non poterci quasi sembrare il mondo tangibile di domani, cerca di sopravvivere la Signora Schiendieldorz, l'ex moglie di un famosissimo Vomitista, che un tempo dava i nomi ai mobili dell'Ikea, oggi scrive per la famosissima rivista "Le mie cose" ma soprattutto lotta per poter essere la madre dei propri figli.

Ma con un figlio geniale che parla da quando era appena un feto nella pancia, e l'amante cuneese del proprio ex marito che fa squarzare tutti dalle risate parlando in romanesco, e l'Ente che sembra disposto a tutto pur di sottrarle tempo con i figli, le cose non sono facili come sembrano, anche per chi segue le super quotate audioguide de "Le mie cose", le cose non sono facili come potrebbe sembrare.

Scorrevole, godibilissimo e mai scontato, è una lettura piacevole che può far riflettere, per chi ancora non l'avesse fatto, sui possibili risvolti situazione presente.

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Marquez - Cent'anni di solitudine





Marquez - Cent'anni di solitudine



Come si fa a sintetizzare un capolavoro in poche righe?
"Cent'anni di solitudine" è l'epopea della famiglia Buendìa, a partire da quando fondarono, con alcuni altri, la mitica città di Macondo e a concludersi con la fine della famiglia, e della città, che vengono travolte dal vento e scompaiono. E' la storia di José Arcadio Buendìa, il fondatore, di sua moglie Ursula e di tutti i figli, nipoti, bisnipoti, ognuno con la sua storia intrecciata a quella degli altri, quasi tutti morti di una morte violenta oppure di una longeva vecchiaia. Tutto inizia a causa di Ursula, giovane sposa, che non vuole concedere le proprie grazie al marito perchè suo cugino e teme che nasceranno figli con code di maiale, e questo porterà alle dicerie e alla morte di un uomo, il cui fantasma costringerà i due giovani sposi a spostarsi, assieme a famiglie di amici, e a fondare, infine, Macondo. E tutto termina con l'accoppiarsi inconsapevole di una zia ed un nipote, e con la nascita del bambino con la coda di maiale che Ursula tanto temeva. E nel mezzo, le vite di molti altri, segnate tutte dall'inesorabile impronta della solitudine. Da Josè Arcadio Buendìa, amico degli zingari e sperso in sempre nuove scoperte mirabili, al colonnello Aureliano Buendìa, che promosse 32 guerre civili e le perse tutte, ad Amaranta che, per testardaggine, visse vergine e portando rancore alla sorellastra Rebèca fino alla fine dei suoi giorni. O ai gemelli Aureliano Secondo e Josè Arcadio Secondo, che morirono nello stesso istante.

E' difficile spiegare meglio la trama. Sono davvero tante le trame che Marquez intreccia in questa storia. Credo che basti dire che nonostante la non-linearità, l'intreccio ripetuto di storie di uno o dell'altro, il ripetersi nelle generazioni di nomi simili che tendono a confonderti, la lettura è scorrevole e piacevolissimi, e non si tratta di certo di una classica saga famigliare. Ma bisogna leggerlo, per capirlo.

Devo però aggiungere che l'ultima parte non ha la presa, la profondità della prima. Gli ultimi Buendìa, forse, non valgono quanto i loro antenati.

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Pansa - La grande bugia





Giampaolo Pansa - La grande bugia


Due premesse d'obbligo:
1) Ho letto questo libro solo su insistenza di mio padre, che si esalta ogni qualvolta chiunque demolisce la sinistra
2) E' l'unico libro di Pansa che io abbia letto...

... e, francamente, credo anche l'ultimo. E mi rattrista, perchè ho trovato che le storie riportate dall'autore sono molto interessanti, e andrebbero conosciute.
Ma, purtroppo, questo è uno di quei libri che avrebbe dovuto essere di poco più di 160 pagine (e le ho contate) ... e le altre 300?
Il signor Pansa aveva a disposizione dell'ottimo materiale, ma purtroppo ha deciso di infarcilo di pagine e pagine e pagine e pagine e pagine di autoapologia che sviliscono il tema trattato. Sicuramente non è bello essere presi di mira in modo così pesante, ma credo francamente che un libro di 18 euro che vorrebbe passare per una pubblicazione seria riguardante le grandi omissioni che riguardano soprattutto il biennio 1943-1945 in Italia non dovrebbe essere farcito di "tizio mi ha insultato dicendo questo", "caio mi ha accusato di aver fatto quest'altro", "sempronio attaccandomi ha sbagliato a dire questo e quello".
Francamente se il signor Pansa sentiva l'esigenza di controattaccare le accuse ricevute, credo sarebbe stato molto più elegante fare una post-fazione di una decina di pagine. Anche perchè quando si parla di storia, l'autore dovrebbe fare sempre un passo in dietro.
Ci sono diversi interessantissimi episodi narrati, come quello di Acquaviva, di Pisanò o le testimonianze di uomini di destra che chiudono il libro, che inquadrano molto bene "La grande bugia", senza che l'autore debba parlare di sè ogni tre per due.
Quindi, decisamente, un'occasione sprecata.

Due note conclusive.

La prima, da studentessa di comunicazione, è che il sig. Pansa ha un bel dire, ma il testo non solo non è comunque equilibrato (quando si mette qualcuno o qualcosa alla berlina, la correttezza vorrebbe che ci fosse anche una decisa controparte) ma è farcito di tecniche di manipolazione del lettore. Per altro alcune tipiche del giornalismo, quindi possono essere benissimo state usate inconsciamente. Ma l'uso dell'alter-ego dell'avvocatessa a cui Pansa racconta il libro è chiaramente un triste sotterfugio per far identificare il lettore meno scaltro (e ci sarebbero da annotare infatti tutte le nozioni che l'autore fa passare attraverso l'avvocato Cattaneo). Credo che sia un peccato, visto lo stile fresco e vivace con cui è stilato il libro.

La seconda nota è un elenco di quelle che, secondo me, sono le pagine che, più o meno (nel senso che ogni tanto in mezzo riesce comunque a parlare di sè) vale la pena di leggere.

- La storia del padre del sig. Manfredi pag 38->45
- Vischi e la Banda del Triangolo pag 46->50
- La storia di Darwin Pastorin 90->99
- L'assassinio Calabresi pag 155->166 (anche se veramente troppo farcito di "io io io"
- Genny e le donne pag 171->172
- Le morti misteriose pag 201->208
- La storia di Acquaviva pag 219->229
- I racconti delle due donne rapate pag 248->261
- Il delitto Peyretti pag 314->321
- La storia del padre di Olivieri pag 323->330
- Porzus pag 346->348 (si può leggere anche fino a 358)
- Vivarelli pag 359->374
- Le storie di famiglia di Franceschini e Lusetti pag 377->386
- La vicenda di Giuseppe Parlato pag 402->414
- I fratelli Pisanò pag 417->434
- Le vicende di Luca Tadolini pag 435->447
- Sylva e Carlo pag 448->463

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Elena Varvello - L'economia delle cose




Elena Varvello - L'economia delle cose

Intenso.
E' il primo aggettivo che mi viene in mente per descrivere questa straordinaria raccolta di racconti. E io non amo particolarmente i racconti. Questi, però, affascinano fin dalle prime righe, ti trasportano in mondi da cui è difficile staccarsi, ti restano appiccicati addosso.
Nove storie diverse, ma con in comune un certo dolore di fondo, percepibile ma di rado esplicitato, che spesso colpisce come uno schiaffo.
Storie semplici. Di matrimoni caduti nella routine, di coppie ormai collaudate a cui eventi esterni - un uomo con una pistola, una malattia? - cambieranno la vita. Una ragazzina che pur di avere amore si lascia trasportare da una pericolosa corrente. Fratelli ritrovati davanti ad un tavolo da ping pong. L'aurora boreale vera, e immaginata.
Sarebbe impossibile riassumerli. Anche perchè la vera bellezza la si può cogliere solo leggendoli.

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Guy Gavriel Kay, Ysabel




Guy Gavriel Kay - Ysabel
(never published in Italy)

"Never again will a single story be told as though it were the only one"

I can't be totally fair about this book. First, because it's my first Kay reading after "The Fionavar Tapestry", and I LOVE that trilogy. Deeply. Second, is quite the same reason: you can find in "Ysabel" two "Fionavar"'s characters, Kimberly Ford and Dave Martyniuk. And I loved them DEEPLY (but was there a character I didn't love that way in Fionavar? Maybe the villain. Yeah, maybe).
But I think that don't be able to stop reading something is usually a sign of how good a book is. And this is NO love story (even if love is the main fuel for all the action).
I think also that "Fionavar" was best, more complete written. "Ysabel" writings is light and funny and I really loved it, but sometimes I felt like something was missed. Maybe it was the "mostly dialogues" thing :)

Btw, the story is about a normal teenager from Montreal, Ned, having to spend his summer in Provence because in father is a world-wide-known photographer and his mother is in Sudan with "Medecins sans frontieres". He meets an American girl in a cathedral. But that's just the beginning, because they'll meet someone else, someone who clearly doesn't belong to this world. Then there're magic, mysteries, Celtic tales, impossible loves, Provence and much much more. To save someone he cares for, Ned'll have to learn WHY and HOW he's special, and how to find her.

As "Fionavar" was, this is a deeply bittersweet book.

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Georges Simenon, La verità su Bébé Donge




Georges Simenon, La verità su Bébé Donge

Pubblicazione originale: 1942, La vérité sur Bébé Donge
Prima pubblicazione italiana : 1953, Mondadori, Milano
Edizione letta: 2001, Adelphi, Milano


All'apparenza, siamo di fronte al più classico dei gialli: in una normalissima domenica qualunque il signor François Donge viene avvelenato con dell'arsenico. Egli si salva grazie alle sue conoscenze chimiche e alla prontezza del medico del paesino della campagna francese in cui vive. Ma il mistero da risolvere in questo romanzo senza Maigret non è chi sia l'avvelenatore dell'energico imprenditore locale: la moglie Eugenie, che tutti chiamano Bébé, è stata vista dal marito, confessa senza battere il ciglio. Il nocciolo del romanzo è invece la disperata ricerca di un senso a quel gesto sconsiderato che si potrebbe definire folle, se non fosse per l'estrema lucidità d'imperturbabile donna che l'ha commesso.
È una domenica come tante altre nella villa in campagna dei fratelli Donge. La famiglia è presente al completo: François con la moglie Bébé e il figlioletto Jacques, il fratello Felix con la moglie Jeanne, sorella di Bébé e i figli, e la suocera, la corpulenta signora d'Onneville. I bambini giocano, gli adulti prendono il caffè sotto gli ombrelloni. Poco dopo, François corre in casa. Alcuni momenti e dalla finestra del bagno chiama il fratello. Le donne non capiscono nulla, né sembrano occuparsene. Viene chiamato il medico del paese e infine l'ambulanza. Bébé è sempre imperturbabile, non si scompone neppure quando il marito esanime viene portato via. È la sorella che, turbata, inizia a pressarla di domande, arriva a rincorrerla per le scale: Bébé non batte ciglio, chiede di essere lasciata sola e sale in camera a stendere un lungo elenco per la governante, cose da fare e non fare in casa e col bambino. Quando arriva l'ispettore, chiede solo della governante, prepara la valigia, scende già pronta per andare. Frattanto François, mentre lotta tra la vita e la morte, rammenta quel pomeriggio, quando la moglie ha servito il caffè dando le spalle a tutti, rammenta come ha fatto domande prive di senso come per distrarli, rammento la piccola carta che ha scorso in giardino, poi è l'oblio del dolore e dell'anestesia.
Al risveglio, inizia la sua ricerca della verità: Bébé è stata arrestata, si è dichiarata colpevole ma dice anche di non aver avuto alcun motivo per uccidere il marito. Allora perché? É la domanda che tormenta il convalescente, che inizia a rivivere la loro storia, cercando di cogliere quel qualcosa: da quando, per fare da chaperon a Felix e Jeanne, si erano incontrati, alla loro luna di miele quando lei aveva voluto che lui chiudesse le imposte e si era dimostrata inerte all'atto d'amore, come qualcosa di subito. Passano i giorni, François viene interrogato dal giudice istruttore ma non sa dare risposte, è certo solo che non sia un delitto passionale, da sempre sua moglie sa di ogni sua scappatella, è stata lei stessa all'inizio del matrimonio a chiedergli di raccontarle sempre tutto. Allora cosa? L'aver sconsigliato alla giovane moglie che ci metteva due ore per prepararsi al mattino di lavorare in ufficio con lui? L'aver pensato che l'avesse sposato per calcolo, perché non voleva restare sola con la madre? L'aver maltrattato la mascolina amica della moglie che gli invadeva casa in ogni momento, spingendola a non tornare più? Le domande si susseguono nella testa dell'uomo bloccato a letto la cui moglie con cui ormai condivideva solo la casa e i momenti con il figlio ora diviene un'ossessione: come si sarà vestita Bébé per l'interrogatorio? Avrà detto quella tal cosa in quel modo?
Quando è ora di lasciare l'ospedale e tornare a casa, i ricordi lo assalgono nuovamente: i primi tempi, quando la moglie aveva intuito le sue scappatelle con la segretaria e non si era scomposta, tutte le migliorie e i cambiamenti che le aveva permesso di fare alla casa paterna, quando gli aveva chiesto di attendere prima di avere un figlio. Tutto ora sembra far pensare ad una ricerca di attenzione che François non aveva mai preso in considerazione prima.
Il signor Donge torna a casa e si accorge con incredibile vividezza della distanza che lo separa dal figlio, tanto attaccato alla madre, e con cui lui condivide solo la pesca, l'aratura del campo di tennis e poche altre cose e che ora che Bébé non c'è non riesce quasi a guardare, tanto gliela ricorda. Rammenta quando la moglie si è infine decisa ad averlo, quel figlio, e quando il piccolo è nato come la moglie si sia chiusa nella casa di campagna per accudirlo. Intuisce che è questa la chiave per comprendere tutto il resto, la profonda solitudine in cui ha lasciato Bébé e dalla quale la donna ha cercato continuamente di mandargli segnali che lui non ha capito, ha frainteso.
Decide di fare di tutto per aiutarla, riaverla: le prende il migliore avvocato, non si costituisce parte civile. È durante il colloquio con lo squallido e grigio avvocato Boniface che François scopre i pezzi restanti del puzzle mancante. L'uomo gli legge parti dell'interrogatorio di Bébé: la donna ha dichiarato di aver premeditato per tre mesi l'omicidio del marito perché non c'era più nulla da fare, si trattava di lei o lui e la donna ritiene che un figlio abbia più bisogno della madre che del padre.
Il quadro è completo.
La verità su Bébé è svelata. Ora non gli resta che attendere il processo con spasmodica attesa.
Arriva il giorno dell'udienza. François è costretto ad attendere a casa, con i ricordi che si accavallano ancora una volta. Le ore passano, ma lui non resiste, deve recarsi in tribunale. Entra dal retro, sente la sentenza: cinque anni ai lavori forzati. La incrocia mentre la portano via e lei gli dice soltanto “ormai è fatta”. È finita. Ma non per François. Con poche parole finali, Simenon ci fa intuire che la strada per il signor Donge si è aperta alla pazzia, nell'attesa dell'improbabile ritorno di lei, e del perdono.

Non ci sono davvero valide ragioni su cui basarsi per comprendere perché il romanzo non sia stato pubblicato: a parte un vago accenno cancellabilissimo ad una ipotetica relazione omosessuale di Bébé con la mascolina amica Mimi Lambert, all'apparenza non v'è nulla che potesse incutere timore nella censura, a meno di vedere un pericolo nella mancata condanna da parte del marito della condotta della donna (che però viene condannata dalla legge, mentre il marito finisce del tutto pazzo). È più probabile che la mancata pubblicazione rientri nel periodo “nero” di Simenon con la censura italiana.

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Karen Blixen. La mia Africa




Karen Blixen, La mia Africa

Pubblicazione originale : 1937, Londra, African Pastorale o Out of Africa
Prima pubblicazione italiana: 1959, Feltrinelli, Milano
Edizione letta: 2007, Feltrinelli, Milano

La mia Africa non è un vero romanzo. È più quello che suggerisce il titolo italiano: l'Africa dell'autrice, narrata attraverso i ricordi, e come ogni rievocazione di ricordi è sconnesso, non ha un filo temporale, raramente un filo logico. Si tratta della narrazione di luoghi, eventi, persone che hanno popolato la vita dell'autrice negli anni in cui ha gestito una piantagione di caffè in Africa, in una zona pessima per quel tipo di coltivazione.
Nella prima parte ella rievoca la sua fattoria, sugli altipiani Ngong, più ancora che nelle costruzioni, nel magnifico ambiente che l'ha circondata per quasi quindici anni. Passa poi a raccontare di alcune persone che popolavano la sua fattoria, primo fra tutti il piccolo Kamante, indigeno di cui era difficile stabilire l'età perché il suo sguardo era già vecchio, stanco, e che lei cerca di curare per delle piaghe alle gambe e poi prenderà in casa, insegnandogli a fare il cuoco. Kamante parla poco, ma ogni volta ha la capacità di stupirla. Come una notte in cui la sveglia dicendole che sta arrivando il Signore, mentre è solo un incendio.
Ogni rievocazione, ogni aneddoto, è intervallato da digressioni sul paesaggio o sugli usi e costumi delle popolazioni con cui è entrata in contatto: i regali Masai, i volenterosi ma fatalisti Kikiyu, i Somali. Dopo Kamante, l'autrice si dilunga in modo consistente su un vecchio danese suo ospite, marinaio e avventuriero ormai cieco e malato, che le chiede ospitalità e che vivrà da lei sino alla morte: egli parla di sé in terza persona, chiamandosi “Il vecchio Knudsen” e ogni volta rivive nuove avventurose gesta della sua vita. La prima parte si conclude con il breve racconto di quando, sottratta una piccolissima gazzella dalle grinfie dei ragazzini che volevano venderla al miglior offerente, se la tiene in casa, finché lei non fugge, per poi tornare a mangiare prima col compagno, poi con i cuccioli. Il suo nome è Lulu e in casa riusciva ad avere la meglio su tutti, persino sui cani. Ma poi il tempo di andare è giunto anche per lei.
Nella seconda parte, in mezzo a grandi digressioni, si racconta di un brutto incidente avvenuto alla fattoria: un ragazzino ha sparato con la carabina del padrone pensando, sembra, che non fosse carica, e ha ucciso un amico e ferito gravemente un altro. Con crudezza Karen Blixen ci fa vivere momento per momento la scoperta dei corpi dei bambini e la corsa verso la missione più vicina. In seguito come capo della fattoria e punto di riferimento degli indigeni che per lei lavorano, è costretta a partecipare ad un Kyama, una sorta di processo. Gli africani più che altro giudicano a quanto ammonta la perdita subita e come deve essere ripagata da chi ha imposto la perdita o dai suoi parenti: un processo lento che richiede grande diplomazia. Sul ragazzo morto, l'accordo si trova abbastanza in fretta anche se poi si presentano dall'antica tribù del padre reclamando il bambino come loro e lei è costretta a rivolgersi alle autorità: tramite un semplice resoconto che ella stenderà a nome del padre adottivo del piccolo, egli potrà ottenere il riconoscimento della paternità, ma non solo: per lui diverrà un grandissimo tesoro, come se la sua storia fosse divenuta reale perché non più affidata alla labilità della memoria. Per il bambino ferito la situazione si fa più complessa: la nonna pare sia una strega e pur di ottenere quello che vuole sembra che stia accecando con la magia le mucche del padre dell'assassino. L'autrice risolverà facendo intervenire il loro capo, Kinanjui.
Nella terza parte ogni capitolo è dedicato ad un ospite della fattoria. Il primo “ospite” che la Blixen ci presenta sono le Ngomas, le danze tipiche degli indigeni Kikiyu. Ella le descrive a pennellate vivide, portandoci al centro del cerchio della danza, in mezzo ai tafferugli creati in occasione dell'arrivo tra loro di alcuni Masai Le Ngomas saranno poi proibite, perché ritenute troppo poco pudiche.
Un capitolo fondamentale per capire il parere di lettura è quello sulle ragazze somale che andarono a vivere alla fattoria, seguendo la moglie del suo attendente, Farah. È difatti usanza che i primi mesi dal matrimonio, se il marito non può vivere in casa della moglie, ella avrà dietro le donne di famiglia. L'autrice ha un'evidente fascinazione per queste donne cresciute per imporsi con i pochi mezzi loro concessi sugli uomini. Bellezza, vestiario, movimenti: tutto è studiato fin da quando esse sono giovanissime. La descrizione che fa della cultura somala è vivida e provoca fascinazione: non tralascia i difetti, come la tendenza alle liti protratte all'infinito, ma si perde pure in mille straordinari dettagli. Dai loro abiti, al portamento, all'unione stretta di queste donne che non possono essere viste da uomini e si appoggiano l'una all'altra. Umani, eleganti, acculturati a modo loro, fedeli: è questo il ritratto che esce forte dalle pagine.
Tra i visitatori della fattoria, vi fu pure un giovane cameriere svedese, Emmanuelson, che l'autrice aveva conosciuto i primi tempi quando ancora viveva in albergo. Egli si presenta alla fattoria, fuggiasco e senza soldi. È un attore, non si capisce in che guaio si è infilato, cerca solo un momento di comprensione ed un pubblico, forse l'ultimo.
Berkeley Cole e Denys Finch-Hatton sono gli unici due europei di cui la Blixen parla diffusamente nel libro. Entrambi inglesi, entrambi ammaliati dall'Africa, divengono presto suoi grandi amici e faranno tappa a casa sua. Denys vi si installerà a vivere, tra un safari e l'altro. Dalle pagine fitte di aneddoti trapela l'ammirazione dell'autrice per questi due uomini che definisce “pionieri”, colti, intelligenti, pieni di vita. Berkeley morirà per problemi di cuore, rifiutandosi di stare a letto e preferendo piuttosto morire giovane, nel tratto tra la casa e la macchina, in movimento sino all'ultimo istante. Denys è un compagno di viaggi e di avventure. È lui che ascolta sempre le sue favole come solo sanno fare gli indigeni, è lui che le regalò un grammofono per riempire di musica il vuoto della sua casa, è con lui che uccide i primi leoni. Ed è assieme a lui che fanno lunghi voli sulle sconfinate pianure africane. Uno dei pezzi più belli del libro, che forse più centra con poche battute di dialogo la mentalità africana, ha proprio a che fare con i loro voli. Un giorno, di ritorno da un lungo volo, li avvicina un vecchio indigeno Kikiyu che meravigliato dice loro che sono andati molto in alto, l'aeroplano non si sentiva né vedeva più.
Poi, chiede loro se hanno visto Dio. Quando chiede loro se pensano di arrivare abbastanza in alto da vederlo, un giorno, ed entrambi gli rispondono che non lo sanno, il vecchio replica dicendo “Allora non capisco perché continuiate a volare”.
La quarta parte è composta tutta da piccoli spezzoni di ricordi, come appunti su un taccuino. Dalla favola che le narravano da piccola, alla storia del suo cuoco Esa, che pur di non andare in guerra tornò dalla precedente padrona che lo tiranneggiava, all'esperienza della lettura a Farah de “Il mercante di Venezia”, a riflessioni su animali africani in generale, e in particolare della fattoria, alla rievocazione di un triste fatto di cronaca al racconto della morte di Esa, avvelenato dalla seconda, giovane moglie che mai pagò per il fatto perché per i maomettani delle azioni di una donna è responsabile solo il marito.
L'ultima parte, la più struggente, è l'addio dell'autrice all'Africa.
La fattoria naviga in cattive acque da anni, finché non c'è più nulla da fare, deve essere venduta. Si avvia allora un lunghissimo addio ad ogni luogo, animale, persona che per lei ha rappresentato qualcosa in Africa. Come un doloroso segno, muoiono in quel periodo il capo Kinanjui prima, e Denys in un incidente col suo aereo poi. Se potrà seppellire l'amico dove egli aveva chiesto, sulle colline di fronte alla pianura ad abbracciare tutto con un solo sguardo, non potrà invece fare nulla per Kinanjui: la fattoria non le appartiene più, non può mettersi contro nessuno in Africa per non rischiare ulteriori ritorsioni.
L'addio definitivo è lento e doloroso: dapprima ogni oggetto andrà venduto, poi andranno via gli animali, donati ad amici, infine i “suoi” indigeni, per i quali ha lottato sino alla fine, per permettere loro di avere un posto in una riserva. I Kikiyu vogliono salutarla con una Ngoma degli anziani, evento rarissimo e spettacolare: ma viene fermata da un'ordinanza del Protettorato. È ora di andare.
L'ultimo a cui dire addio è l'inseparabile Farah, alla stazione. E poi, ormai distanti e quasi indistinguibili, alle colline del Ngong.

È difficile individuare un motivo preciso per cui questo bellissimo libro poteva non passare la censura. Sicuramente le parti sui somali erano un problema; in tempi in cui l'Italia era in Somalia non si poteva di certo lasciar circolare scritti in cui i somali venivano tanto rivalutati. Molto probabilmente ciò che si è temuto nel pubblicare questo romanzo, è il rapporto tra uomo occidentale e sudafricano/orientale: nella Blixen non c'è nemmeno un accenno ad un'ipotetica superiorità di una delle parti. Ogni difetto degli indigeni è quasi sempre visto come una mancanza degli occidentali, che non riescono a cogliere, a sintonizzarsi con questi spiriti per i quali tempo e spazio hanno valori completamente diversi dai nostri.
Sono tutte figure nobili, affascinanti, toccanti, nonostante le difficoltà che possiamo avere nel decifrarle.

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