Raymond Carver, "Principianti"
Raymond Carver, "Principianti"
(Voce fuori dal coro)
"Principianti" è la versione quasi del tutto priva di editing di "Di cosa parliamo quando parliamo d'amore". Con la sua uscita è scooppiato il caso: è meglio la versione "integrale" o l'altra? E' giusto tagliare così tanto ad un autore? Si può dire che l'autore di entrambi i testi è Carver, o Gordon Lish (il suo editor) c'entra qualcosa? Sarebbe diventato famoso Carver, con "Principianti"?
La maggior parte delle recensioni giunge alla conclusione che "Principianti" sia migliore, più poetico, più completo e che Gordon Lish fosse un boia spietato di parole.
Io non lo penso.
Penso che sì, abbia tagliato troppo. Che su racconti di 15 pagine tagliarne addirittura il 70% sia eccessivo. Che abbia buttato via piccole perle, certo.
Ma mentre ho divorato "Di cosa parliamo...", sono arrivata alla fine di "Principianti" con fatica e malavoglia. Carver si perde spesso per pagine in riflessioni o digressioni o dettagli, che fanno perdere il contatto col cuore della storia.
E' più poetico?
Assolutamente.
Esteticamente è una lettura migliore?
Non c'è neanche da dirlo.
I personaggi risultano diversi, e talvolta anche più sfaccettati?
E' indubbio.
Ma si perde tutto il resto.
Si perde l'inquietudine. Si perde l'empatia con i personaggi. Si perdono le cose che ti restavano stampate nella testa, di cui non riuscivi a liberarti.
Come il finale del racconto che dà il titolo all'opera, "Di cosa parliamo quando parliamo d'amore":
“Sentivo il mio cuore battere. Sentivo il cuore di tutti.
Sentivo il rumore umano che facevamo là seduti, nessuno che si muoveva, nemmeno quando nella stanza calò il buio.”
E' come se Lish fosse riuscito a cogliere il nocciolo dei racconti di Carver, il suo cuore palpitante, e l'avesse tirato fuori. Lasciando indietro qualche vene o arteria vitale, ma l'asse portante resta.
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